Il settore portuale italiano punta alla parità di genere, una missione ardua ma possibile
E’ stato sottoscritto nelle scorse settimane il “Patto per la parità di genere” da tutte le Autorità di Sistema Portuale italiane al termine dell’Assemblea degli Associati di Assoporti. Lo scopo finale di questa mossa senza precedenti – come si legge anche nel comunicato Assoporti – sarebbe quello di migliorare le condizioni di lavoro femminile, di valorizzare le attività svolte dalla componente in questione e di definire politiche aziendali che coinvolgano tutti i livelli dell’organizzazione. L’accordo è per la verità una parte del progetto Women in Transport – the challenge for Italian Ports. Di cosa si tratta? Il programma in questione è stato avviato da Assoporti e dalle AdSP al fine di tutelare il lavoro femminile nel settore e combattere le disuguaglianze di genere a tutti i livelli, in linea con quelli che sono gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dell’UE, come evidenziato nel PNRR.
Portualità centrale, anche nella lotta alle disuguaglianze
I porti svolgono un servizio fondamentale per l’Italia; un servizio la cui essenzialità è riuscita paradossalmente ad essere ancor più evidente con l’avvento della pandemia, periodo storico di crisi senza precedenti, che ha dimostrato come il settore portuale possa fungere da traino per l’intera economia del Paese. Diventa dunque fondamentale anche in questo settore, in continua trasformazione, essere protagonista anche nella lotta contro le disuguaglianze. Ecco dunque che rafforzare l’impiego delle donne nei porti e offrire pari opportunità per le donne e gli uomini in una fase di progresso ed opportunità come mai prima, diventa un fattore assolutamente primario a livello trasversale.
Numeri e futuro
La strada per la verità è tutt’altro che semplice stando ai numeri odierni: Nel settore marittimo lavorano oggi 24.000 donne, circa l’1,28% della forza lavoro complessivamente impiegata. Una percentuale quasi imbarazzante. Il discorso cambia però se si fa un confronto con il 2015: in 6 anni infatti le donne impiegate in questo settore hanno subito un aumento di poco inferiore al 50%. Questo fattore testimonia come la strada intrapresa sia quella giusta. Un tema particolarmente rilevante a questo riguardo è nuovamente quello legato alla formazione: questo rappresenta infatti un asset fondamentale per rispondere alla domanda che oggi è superiore all’offerta di lavoratori e lavoratrici specializzati nel settore portuale. Secondo le stime, senza una formazione specifica ed al passo con i tempi, non sarà possibile saziare il fabbisogno occupazionale nel prossimo quinquennio. Le donne potranno trovare spazio in questa rivoluzione delle competenze? L’obiettivo è proprio questo, ed i porti rosa non sono più un’utopia se lo sguardo è costantemente rivolto al futuro.