L’Europa viaggia verso il green, i porti italiani devono seguire l’onda verde
La transizione verde di cui tanto si parla ormai da diversi anni è inevitabilmente un’azione che caratterizza e caratterizzerà anche i porti italiani, sulla falsa riga di ciò che sta accadendo in diversi grandi scali europei e mondiali.
Andiamo per ordine: i numeri dei porti italiani hanno un peso economico davvero importante; poco meno di mezzo miliardo di tonnellate di merci movimentate l’anno generano 6,5 miliardi di euro a cui va aggiunto il denaro prodotto da tutto il comparto collegato alla logistica portuale, quindi ad esempio trasporti, cantieristica e pesca, per oltre 27 miliardi di euro.
In estrema sintesi possiamo dire che il comparto marittimo è pari al 2% del Pil italiano; questo solo per far intendere l’importanza strategica di un settore portante, quello che ci rappresenta.
In quanto tale anche il settore portuale è finito sotto la lente d’ingrandimento dell’ecosostenibilità: in termini di inquinamento infatti la situazione non è propriamente rosea. Andiamo a vedere perché…
Come rendere verdi i porti italiani?
In termini di scarichi, emissioni, gas e traffico di mezzi pesanti, i porti italiani sono ben lontani dalla transizione verde che caratterizza, ad esempio, diversi porti del nord Europa. Questo processo però si attuerà, con pazienza, andando ad abbattere in maniera imponente nel corso degli anni i livelli di emissioni, e producendo magari energia.
Una prima mossa importante in tal senso è stata attuata dall’International Maritime Organization, che ha imposto ai mercantili di tutto il mondo di utilizzare carburanti con non oltre lo 0,5% di zolfo, un settimo di quanto prima consentito.
Da fine 2020 è stata l’Ue ad imprimere una imponente accelerata nei progetti di sviluppo: nel dicembre 2020 è stata presentata la European Sustainable and Smart Mobility Strategy con l’obiettivo di ridurre in 40 anni il 90% delle emissioni del settore dei trasporti. Dal 2030 entreranno in funzione le prime navi da trasporto a emissioni zero mentre, entro il 2035, sarà il turno degli aerei. Nel 2050 l’obiettivo è che i porti e gli aeroporti diventino nodi a emissioni zero.
L'esempio di Anversa
L’esempio da seguire è dettato dal Belgio: nello specifico dal porto di Anversa, il secondo porto di Europa in termini di merci movimentate. Nell’ultimo decennio l’autorità portuale belga ha perseguito la via dell’innovazione investendo ingenti somme di denaro su un piano incentrato su 17 obiettivi per realizzare un porto sostenibile a livello ambientale.
Gli investimenti hanno portato a 69 turbine eoliche per alimentare l’area, un parco fotovoltaico ed Ecluse, una rete di riscaldamento a vapore per l’industriar; dal 2016 sono stati installati sulle banchine circa 40 powerpoint on shore per le navi all’ormeggio mentre la flotta di rimorchiatori è stata radicalmente ammodernata (con l’abbattimento del 32,5% delle emissioni di CO2) ed è stata varata la prima unità al mondo a idrogeno. Inoltre, entro il prossimo anno, entrerà in funzione uno stabilimento che sarà in grado di produrre 8mila tonnellate annue di metanolo usando la CO2 recuperata.
Degna di nota anche l’iniziativa internazionale denominata Getting to Zero, un’alleanza di oltre 110 protagonisti del settore marittimo per la progettazione di navi ecocompatibili, ed il World Porte Climate Action Program, il programma dei dieci grandi porti di Barcellona, Goteborg, Amburgo, Le Havre, Long Beach, Los Angeles, New York, Rotterdam, Vancouver e Yokohama per la riduzione delle emissioni.
Il quadro italiano: Trieste capofila green
In Italia qualcosa inizia a muoversi: lo scorso gennaio, nell’ambito del Recovery Fund, è stato previsto un progetto porti integrati d’Italia, con 1,22 miliardi destinati alla sostenibilità ambientale, progetto che vede primeggiare tra le priorità l’elettrificazione delle banchine con il sistema cold ironing.
L’esempio da seguire è dettato da Trieste, primo porto italiano per tonnellate di merce movimentate attualmente, da tempo protagonista nell’ambito dell’intermodalità diventando il primo nodo mare-ferrovia con con un +63,4% di treni movimentati: 10mila all’anno equivalenti a 210mila camion in meno sulla strada.
Sono stati poco meno di 7 i milioni finanziati dalla Ue e investiti su progetti in ambito ambientale quali cold ironing, mezzi elettrici e apposite colonnine, sensori e droni antiinquinamento, illuminazione a Led ed incremento di energia rinnovabile. Il futuro prevede un parco eolico galleggiante e la produzione di combustibile a idrogeno dall’acqua marina.
Dal 2020 Trieste è peraltro capofila di un progetto ambientale di caratura continentale, il Susport Sustainable Ports, un piano strategico che coinvolge tutte le autorità portuali dell’Adriatico con l’obiettivo di migliorare le performance per incidere positivamente sull’ambiente implementando un massiccio piano per l’efficienza energetica.
La strada è dunque tracciata, il futuro del sistema portuale italiano, che coinvolgerà anche il Porto di Ortona, è destinato a cambiare nel corso dei prossimi anni in corrispondenza, peraltro, del progressivo addio ai combustibili di cui parleremo nelle prossime settimane.
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